I tiepidi estivi venti di pace che spiravano dall’Alaska si sono ormai raffreddati, con l’autunno ormai alle porte sul campo di battaglia e l’ennesimo inverno di guerra da affrontare.
Vladimir Putin non fa sconti e avverte provocatoriamente di avere “oltre 700mila uomini schierati sul fronte in Ucraina”. Mosca, al solito, si dice disponibile a compromessi purché i suoi interessi vengano garantiti: è un valzer infinito che conduce sempre al solito punto. Lo stallo. Volodymyr Zelensky a sorpresa visita le truppe ucraine nel Donetsk, dal 2014 teatro di scontri feroci, rivendicando una “operazione di controffensiva” nei settori di Dobropillia e Pokrovsk, dove i russi rischiavano di sfondare le linee ma, alla fine, non ci sono riusciti. Non è un dettaglio da poco perché, come ogni anno, i movimenti di terra da ottobre in poi si fanno più complicati con l’arrivo delle piogge e del fango prima e della neve poi.
“L’Ucraina sta giustamente difendendo le sue posizioni e il suo territorio”, ha detto Zelensky. “Stiamo mandando all’aria tutti i piani della Russia, i piani per distruggere il nostro Stato”. Di fatto, però, nemmeno il 2025 sarà l’anno della pace e l’attenzione si sposta al 2026, con l’Occidente e la Russia (spalleggiata da Cina, Iran, Nord Corea e, per certi versi, una molto ambigua India) sempre più impegnati in una gara contro il tempo. L’economia di Mosca rallenta – lo zar dice che lo si fa apposta per “contenere l’inflazione” – e al contempo si riduce la possibilità di reggere lo sforzo bellico. Guarda caso Putin benedice l’ipotesi di “una tassa sul lusso” per rimpinguare i forzieri purché “non si esageri”. Ma son segnali. Donald Trump questo lo ha capito molto bene e dunque, da Londra, torna a battere il tasto sulla necessità di privare il Cremlino degli introiti necessari, interrompendo gli acquisti di petrolio russo da parte degli alleati europei (ovvero solo Ungheria, Slovacchia e Turchia). “Se i prezzi del greggio calano Putin dovrà fermarsi”, ha detto il presidente Usa. E qui entra in gioco l’Europa.